Perché la filosofia? La necessità di ritornare a « pensare »

L’occasione che ha fornito lo spunto della mia riflessione è stata la lettura di un articolo riguardante un tema di attualità, dove si analizza la possibilità di inserire la filosofia all’interno delle materie scolastiche fin dalle elementari.

Una simile proposta pedagogica porta con sé questioni di carattere sociale ed educativo, tra cui in primis la reale possibilità di proporre a bambini e ragazzi molto giovani l’accesso alla riflessione filosofica come approccio intellettuale a temi di attualità; in secondo luogo, offre l’occasione per riflettere sull’importanza di questa disciplina, ormai da troppo tempo screditata.

L’articolo in questione riguarda un progetto finanziato dallo Stato irlandese e conosciuto come “Philosophy for Children”, che vede come primo obiettivo quello di portare bambini e ragazzi tra i 6 e i 15 anni a ragionare attivamente su temi differenti da quelli proposti dalle materie scolastiche usuali, favorendo così una graduale sensibilizzazione verso alcune delle problematiche che affliggono l’odierna società. Non si tratterà dunque di introdurre nella scuola primaria lo studio della filosofia così come viene proposta a partire dal terzo anno di Liceo, dove si analizzano le correnti di pensiero e i diversi autori inquadrandoli in un orizzonte cronologico; si cercherà piuttosto di spingere gli alunni ad un primo avvicinamento a temi complessi attraverso un approccio ludico e in modo proporzionato all’età, secondo la loro capacità cognitiva.

Il progetto educativo, proposto in Irlanda e a cui molti pedagogisti italiani guardano con simpatia ed entusiasmo, si pone l’obiettivo di alimentare la naturale fantasia e curiosità infantile dei giovani allievi su argomenti inizialmente semplici e di loro interesse, abituandoli a mettere in gioco le loro opinioni attraverso il dubbio e a considerare punti di vista differenti.

Ritengo che la buona riuscita del progetto in questione si basi essenzialmente su una realtà che oggi si tende a trascurare: i bambini sono filosofi, anche più di quanto non lo siano gli adulti, completamente assorbiti dalla frenesia produttiva e da ritmi che sembrano allontanare sempre di più dalla riflessione.

La massima espressione della meraviglia e curiosità originaria del bambino si esprime sia attraverso una serie di domande interessanti (a volte disarmanti) a cui spesso un adulto fatica a rispondere in modo immediato; sia nel fatto che a domande complesse questi fornisce risposte semplici ed intuitive, geniali nella loro spontanea immediatezza. Se nell’uomo adulto la curiosità filosofica si è inaridita a causa di una società tendenzialmente tecnocratica, in cui al pensiero si è andata sostituendo la macchina di produzione, nel bambino questa naturale propensione al dubbio e alla scoperta necessita di essere salvaguardata e coltivata con ogni mezzo possibile.

Analizzando brevemente i risvolti di un progetto pedagogico di tale portata, reputo che l’inserimento della disciplina filosofica non possa che portare novità positive per i nostri piccoli allievi, tanto nel tipo di analisi del mondo che li circonda, quanto nelle modalità di apprendimento scolastico.

Molteplici sono infatti le competenze acquisite mediante l’approccio al pensiero filosofico, come la capacità di dialogo tra studenti, migliorando le competenze linguistiche e la chiarezza argomentativa; imparare ad aggirare o superare un ostacolo (problem solving); favorire lo sviluppo cognitivo attraverso la correttezza del ragionamento e il desiderio analitico come possibilità di dominio conoscitivo sui diversi oggetti di discussione; infine promuovere un comportamento responsabile, abituando gli studenti a cogliere il nesso causale di un’azione e a riflettere sulle conseguenze del loro agire.

A ben vedere, un tipo di studio improntato all’analisi intellettuale comporta l’acquisizione di conoscenze utili in circostanze non più strettamente circoscritte all’apprendimento scolastico: invita infatti i ragazzi ad instaurare un rapporto attivo con la realtà, sviluppando un pensiero autonomo e originale, andando al di là di ciò che il senso comune vorrebbe come scontato ed immediato.

Promuovere un metodo analitico improntato alla riflessione filosofica significa in fondo aprire nuove prospettive all’interno della pedagogia classica, invitando a considerare la filosofia non come una disciplina a sé stante bensì come espressione di conoscenza alternativa rispetto all’approccio tecnico-scientifico.

A questo proposito vorrei sottolineare come filosofia e scienza concorrono in uguale misura alla comprensione della medesima realtà, ossia la natura cognitiva dell’uomo e il mondo nel quale è calato a vivere. Se da una parte le scienze (matematiche, biologiche, fisiche, etc.) conducono alla descrizione della struttura umana e dell’universo sotto l’aspetto materiale quantitativo, la scienza filosofica muove da presupposti che conducono ad una ricerca speculativa di carattere qualitativo.

Occorre fare una precisazione metodologica, in modo da inquadrare correttamente l’oggetto di analisi della filosofia e per comprendere la differenza che intercorre con le altre scienze. Mentre queste ultime si occupano dell’analisi di oggetti particolari e circoscritti ad un ambito di ricerca specifico, la filosofia procede verso l’universale, risolvendo il molteplice e il frammentario all’interno di un discorso globale di più ampia portata speculativa, cogliendo la totalità empirica che non appartiene a nessuna scienza particolare e che tuttavia è suscettibile di indagine razionale.

Per secoli la cultura occidentale ha guardato alla scienza come l’unica disciplina concreta, l’unica che rivolgendosi al particolare fosse in grado di conferire al mondo una certezza rappresentativa. Di contro, la filosofia, per sua natura astratta e universale, è stata ritenuta incapace di una tale altezza descrittiva.

A mio avviso, la forza della filosofia sta proprio in questo, ossia nell’assenza di un oggetto circoscritto a cui rivolgersi, abbracciando l’interezza e complessità della realtà umana non più smembrata nei suoi atomi; allora, solo la filosofia può dirsi realmente concreta, dove la riflessione è inscindibile dal panorama storico-sociale del vissuto esperienziale del soggetto. Da questo punto di vista, è lecito affermare che la filosofia nasce prima rispetto a tutte le altre scienze proprio per il suo riferirsi alla globalità degli enti, senza privilegiare nessuno specifico oggetto della realtà.

Se ammettiamo che la filosofia è madre di ogni scienza, allora si può concludere che senza filosofia non esisterebbe alcuna scienza particolare, decostruendo l’illusione del primato scientifico rispetto alle discipline umanistiche. E’ infatti communis opinio conferire discredito alla filosofia in quanto incapace di fornire certezze oggettive o per la sua assenza di metodo scientifico.

Bisogna tuttavia che chi innalza la scienza a madre indiscussa del sapere umano consideri come soltanto la filosofia sia effettivamente in grado di discutere la portata e il senso delle scoperte scientifiche, ragionando sulle implicazioni etiche che queste comportano, approvando o confutando il metodo con cui sono state raggiunte e analizzando il linguaggio con cui la scienza si esprime.

Pertanto, senza la riflessione filosofica che giustifica dal punto di vista teleologico l’avanzare delle ricerche in ambito tecnico-scientifico, la scienza non sarebbe in grado di comprendere pienamente se stessa e il proprio agire, restando invischiata in asserzioni dogmatiche. Al di là dell’immediata descrizione del fenomeno, lo scienziato può analizzare criticamente la realtà solo nella misura in cui si fa filosofo. Così, alla domanda tipicamente scientifica su come avviene un determinato evento, la filosofia sostituisce la ricerca del perché si è verificato l’evento stesso, giustificandolo al fine di poterlo meglio inquadrare all’interno di un più ampio orizzonte di significato.

Lungi dal voler ridurre il mio studio ad una analisi dei limiti della scienza, reputo che l’attuale sfida dei nostri tempi consista appunto nel superare la secolare divergenza tra ambiti di ricerca, e quindi nel cercare i punti di inclusione e complementarietà di filosofia e scienza, a cominciare dal loro continuo domandare sulla medesima realtà  e dalla serietà con cui cercano, per vie differenti, di fornire delle risposte plausibili senza accontentarsi di ciò che è soggetto all’opinione.

Consapevole che la filosofia non è né identica né contrapposta alla scienza, il sapere attuale deve recuperare il significato originario della saggezza antica (episteme) così come proposta da Aristotele, dove filosofia e scienza procedevano insieme per il raggiungimento di una conoscenza completa. Non si pone infatti alcun dubbio sull’importanza di cogliere la struttura fisica e biologica sottostante al mondo fenomenico, ma altrettanto fondamentale è interrogarsi sull’origine dell’universo, sull’esistenza di Dio e quindi sulle possibilità umane di conoscerlo, sul significato della libertà e della felicità, su quale sia la migliore forma di governo.

Senza vedere una contrapposizione tra differenti teorie, la filosofia avanza attraverso un progressivo ampliamento di conoscenza che comporta una continua costruzione e decostruzione del concetto di verità astratto dal contingente, oltre ogni possibile implicazione tecnico-economica.

In fondo, la storia della filosofia si configura essenzialmente come storia della ricerca di verità perseguita per se stessa, come fondamento capace di dare un senso all’esistenza al di là della “gettatezza” passiva nel mondo. La verità intesa come realtà ultima a cui tende la riflessione filosofica non è mai una verità definitiva, poiché nessun concetto intellettuale può realmente esaurire la complessità del reale; di conseguenza, la ricerca della filosofia come continuo interrogarsi sui fenomeni non conoscerà mai fine.

Dal momento che solo le discipline scientifiche sono -erroneamente- ritenute idonee all’inserimento costruttivo del singolo nella società, la filosofia oggi non può che ricadere nell’ombra, rivestendo un ruolo marginale e secondario come puro esercizio intellettuale, essendo “inutile” dal punto di vista economico. A mio avviso, la presunta inutilità della filosofia in realtà ne contraddistingue la grandezza: la filosofia è inutile, in senso debole, poiché non è serva di nessuno, è assolutamente libera da ogni vincolo economico non essendo strumento per il raggiungimento di nessuno scopo determinato. La filosofia è fine a se stessa, e solo in questo senso possiamo dire che è utilissima a vantaggio e beneficio dell’uomo.

Credo che interrogarsi sull’importanza della riflessione pura e disinteressata si ponga come una necessità impellente nei tempi odierni, dove l’attuale società è frutto della radicalizzazione della cesura tra cultura scientifica e cultura umanistica. Segno evidente di questa lacerazione del sapere è rappresentato dal fatto che tanto la collettività quanto l’istituzione scolastica sembrano favorire lo studio di materie tecnico-scientifiche, e dunque indirizzare verso saperi ritenuti “utili” perché meglio spendibili nell’economia del lavoro. Conseguenza inevitabile di questa corrente di pensiero è l’inaridimento della sfera esistenziale, dove l’essere umano è ricondotto a mero meccanismo all’interno di una struttura (politica, biologica, tecnica) che lo sovrasta. Nell’inarrestabile avanzamento della tecnica e delle innovazioni, oggi la ricerca della Verità è stata sostituita con la ricerca della ricchezza e del piacere immediato, dove ogni valore viene misurato all’interno della produzione capitalistica.

In una società che vegeta all’insegna della povertà intellettuale, che vuole l’essere umano come produttivo e non pensante, la filosofia è stata esiliata, abbandonata a favore di una allarmante massificazione di pensiero e comportamento. Probabilmente la premessa che ha condotto l’umanità su un simile percorso può essere rintracciata nella convinzione della non esistenza di una Verità cui indirizzare gli sforzi cognitivi, o il cui raggiungimento non comporta alcun vantaggio per l’uomo moderno.

La conseguente perdita in termini di ragione conduce ad una sorta di atrofia intellettuale ed emotiva che tende a demotivare il singolo alla riflessione, sfociando a volte nella nevrosi e depressione che affliggono il nostro tempo.

Paradossalmente, la società capitalistica pretende una sospensione del pensiero cosciente proprio nel frangente storico in cui è maggiormente richiesto all’umanità di interrompere la corsa frenetica alla produzione e di soffermarsi a pensare: l’avanzamento della tecnica pone nuovi -ed inquietanti- interrogativi. Non possiamo infatti non domandarci quale sarà a breve il destino dell’uomo in una realtà dominata dall’internet delle cose, dalle macchine che soppiantano il lavoro umano, dalle conseguenze della clonazione o della manipolazione genetica.

«Nulla e nessuno è mai completamente al riparo dal luogo comune, dal fanatismo, dalla stupidità. Anche la filosofia è in grado di provocare, e ha certamente provocato, disastri, non diversamente dalla scienza e ciò accade soprattutto quando si combini con saperi più o meno occulti ed esoterici, tradizionalisti o apocalittici. Ma, in generale, possiamo affermare che, proprio come la scienza, la filosofia nel suo insieme non è certo priva di ambiguità. Eppure, ne abbiamo sempre più bisogno. La voglia di filosofia cresce, [...]. La filosofia può scendere dal piedestallo specialistico e avvicinarsi ai problemi delle persone. Il suo campo d'azione si dilata alle "zone calde" della nostra cultura: le neuroscienze, le scienze sociali, l'etica economica, per non parlare della bioetica.» Mario Baudino, Ricca e vestita vai, filosofia, La Stampa, 29/4/2003

Pertanto, mai come ora si manifesta l’urgenza di un ripensamento della filosofia come necessità di conferire una nuova definizione all’uomo in un mondo dominato dalle macchine e che sembra procedere verso una progressiva ed allarmante emancipazione dall’uomo stesso. L’universo attuale, sottoposto a continue trasformazioni, in cui il soggetto ha perso la capacità di riflettere e di agire consapevolmente, esige un orientamento capace di conferire senso agli avvenimenti (necessità ermeneutica).

Dunque, la filosofia non è mai stata così necessaria ed indispensabile quanto nella società contemporanea, dove l’individuo avverte quotidianamente la sensazione di una mancanza, che non è biologica o psicologica quanto piuttosto esistenziale (sulla nozione di mancanza come assenza nella presenza rimando all’interessante saggio proposto da Jean- François Lyotard , Perché la filosofia è necessaria?), mancanza che se non viene colta e superata conduce alla frustrazione e all’insoddisfazione (simile alla nausea sartriana).

In questo senso allora possiamo dire che la filosofia incrementa una coscienza critica nel soggetto che riflette su di sé e sul mondo che lo circonda, sviluppando la capacità di esprimere giudizi personali al fine di superare gli errori della morale comune, e in modo da promuovere un atteggiamento scettico nei confronti del dogmatismo dilagante.

Intesa come impostazione di pensiero, la filosofia non si limita solo ad essere una disciplina “da banco scolastico”, come oggi la si vorrebbe considerare, ma è uno stile di vita che insegna all’uomo a stare nel proprio mondo, esprimendo così uno dei vantaggi concreti dell’analisi filosofica. Attraverso l’approccio critico come graduale decostruzione delle certezze aprioristiche, l’uomo è in grado di abbandonare l’azione passiva ed incosciente per abbracciare un comportamento attivo e responsabile: infatti, avere un rapporto profondo con la realtà e cogliere i meccanismi sottostanti la logica delle trasformazioni socio-economiche è il primo passo per inserirsi coscientemente nel tessuto sociale.

Ogni azione che voglia dirsi efficace e trasformatrice non può che essere frutto di riflessione filosofica, poiché essa accresce la relazione autentica tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, consentendo di cogliere le premesse implicite che regolano le azioni umane. In questo senso può allora realizzarsi pienamente l’identità tra essere e pensiero, nella consapevolezza che solo il pensare intenzionale muove tanto la scienza quanto l’economia e la politica.

«Il filosofo si riconosce dal fatto che egli ha, inseparabilmente, il gusto dell'evidenza e il senso dell'ambiguità. Ciò che del filosofo è caratteristico è il movimento incessante che dal sapere riconduce all'ignoranza e dall'ignoranza al sapere. La debolezza del filosofo è la sua virtù. Il mistero è in tutti come è in lui. Che cosa dice il filosofo dei rapporti dell'anima col corpo se non ciò che ne sanno tutti gli uomini? Che cosa insegna sulla morte, se non che è nascosta nella vita, come il corpo nell'anima? Il filosofo è l'uomo che si risveglia e che parla, e l'uomo ha in sé, silenziosamente, i paradossi della filosofia, perché, per essere davvero uomo, bisogna essere un po' di più e un po' di meno che uomo».
M. Merleau-Ponty, Elogio della filosofia, 1953

Essere nella condizione di ignoranza, dunque, comporta necessariamente l’impossibilità all’azione costruttiva, rendendo l’uomo schiavo dell’ideologia utilitaristica che vorrebbe identificare la verità con il potere economico e instaurare così una disparità tra soggetto ed oggetto, con il conseguente predominio del primo sul secondo. In questo senso, fare a meno della filosofia significa rinunciare alla naturale tensione dell’uomo al ragionamento; tuttavia, un uomo privato del proprio pensare è impossibilitato ad inserirsi concretamente nel mondo poiché incapace di formulare giudizi critici o di esprimere delle valutazioni personali. In altre parole, un uomo senza pensiero è un uomo senza libertà, parafrasando la celebre espressione socratica secondo cui il pensiero rende liberi.

A conclusione di quanto sinora sostenuto in questa breve analisi, vorrei sottolineare l’urgenza di una ri-attualizzazione della filosofia, disciplina antica per la sua origine ma tutt’altro che antiquata per l’importanza che da sempre riveste, affinché l’individuo moderno abbandoni la pigrizia intellettuale e manifesti le proprie convinzioni o perplessità in assoluta autonomia. Il soggetto cosciente deve quindi riscoprire ciò che è insito nella sua stessa natura di essere pensante, poiché, riprendendo ancora una volta l’insegnamento di Socrate, “una vita non pensata è una vita che non vale la pena di essere vissuta”.

Vittoria Chiaverotti